Una volta, l’architettura si immaginava attraverso le fotografie sulle riviste. Bastava un’immagine per ispirare una visione. Oggi, quello sguardo si è moltiplicato. I clienti arrivano con decine di reference salvate sul telefono, mentre gli architetti dialogano con modelli tridimensionali, intelligenze artificiali e realtà aumentata. Il progetto si muove tra ciò che esiste e ciò che potrebbe esistere e, in questo nuovo paesaggio, non è solo il modo di progettare a cambiare, ma anche il modo di pensare e di usare la nostra creatività.
IA: uno strumento, non una scorciatoia
L’intelligenza artificiale ha iniziato a popolare i processi architettonici, ma il modo in cui la stiamo usando è ancora parziale. Spesso serve a velocizzare, quando potrebbe aiutarci a riflettere. È utile nella ricerca di reference, nella generazione di alternative progettuali, nell’individuazione delle potenzialità di un manufatto esistente o nella creazione di uno nuovo. Può mostrarci le possibilità prima che esistano, simulare soluzioni, farci vedere con maggiore chiarezza. Ma l’IA non può sostituire la sensibilità progettuale. Perché l’architettura, prima di tutto, è fatta di gravità, materia e relazioni umane. Più della metà del nostro lavoro è ancorato alla realtà fisica, a un cliente che spesso non sa cosa vuole, ma sa cosa gli piace. Ed è in quel margine che il nostro ruolo resta imprescindibile: comprendere, interpretare, accompagnare. L’IA può facilitare, ma non sostituire.
Realtà aumentata e render: abitare l’immagine
Se l’IA aiuta a pensare, la realtà aumentata serve a raccontare. A spiegare un progetto quando è ancora solo un’idea. Per il cliente, che spesso non ha familiarità con la spazialità, entrare virtualmente in una casa ancora non costruita è fondamentale per comprendere le scelte. Per l’architetto, è uno strumento che obbliga alla precisione, perché tutto, anche il più piccolo dettaglio, deve già essere stato deciso. Il render, in questo senso, è quasi un’operazione narrativa. Permette di indirizzare lo sguardo, enfatizzare ciò che si vuole trasmettere: luce, materia, atmosfera. Un buon virtual tour è utile non solo nella fase di presentazione, ma anche all’inizio, in quella delicata fase in cui si costruisce la coerenza interna del progetto.
Il futuro è un campo da allargare
Le tecnologie digitali non sono più una scelta opzionale. Sono strumenti concreti, evolutivi, ormai necessari. Tuttavia, servono visione e metodo e siamo solo all’inizio di un’analisi vera e di una consapevolezza adeguata del loro utilizzo. Bisogna spostarsi dal semplice uso operativo al potenziale critico: usare l’IA per analizzare l’efficienza energetica, prevedere il comportamento degli ambienti, valorizzare le risorse naturali. Ed è proprio questo lo scenario che si delinea anche nella prossima Biennale dell’Architettura di Venezia.
Dal 10 maggio al 23 novembre 2025, la Biennale si intitolerà “Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva.”, e sarà curata da Carlo Ratti. Il titolo è un neologismo latino che unisce “intelligens” (intelligenza) e “gens” (popolo) e che invita a ripensare l’intelligenza non come proprietà esclusiva dell’uomo o della macchina, ma come qualcosa di condiviso tra esseri umani, sistemi naturali e tecnologie digitali.
Oltre 750 partecipanti e 300 progetti esploreranno nuovi approcci tra design, etica, intelligenza computazionale e sostenibilità. Installazioni, simulazioni predittive e living labs offriranno uno sguardo su come potremmo progettare, e abitare, nei prossimi decenni questo pianeta. Come affermiamo sempre anche noi, non si parlerà solo di estetica o innovazione, ma di relazioni: con l’ambiente, con il tempo e con gli altri.
Per chi lavora oggi nell’architettura, la Biennale rappresenta un’occasione per aprire il campo della riflessione, uscire dai propri automatismi e confrontarsi con una visione aperta al futuro. Anche in un mondo sempre più digitale, la sfida resta la stessa: trasformare la complessità in uno spazio che funzioni davvero per chi lo abiterà. Far stare bene, insomma. Nella bellezza e nella comodità.